giovedì 31 marzo 2011

Il peso delle monete



La manifestazione di dissenso che ha colpito ieri membri del Governo e Parlamento italiano fuori da Montecitorio è più intensa rispetto alla contestazione a Craxi in piena Tangentopoli anche per via del valore monetario del denaro.
Come ricorda Aldo Cazzullo oggi sul Corriere della Sera: "...gli spiccioli del '93 avevano un valore poco più che simbolico, come i biglietti da mille offerti a Craxi per sfregio. Oggi le monete sono pesanti, in ogni senso, e un euro non si butta via a cuor leggero. Siamo tutti un po' più vecchi e un po' più poveri; e neppure questo è un buon segno".
Siamo tutti "un po' più vecchi" ma anche più incazzati.
Oltre Berlusconi, una differenza tra l'Italia di allora e quella di oggi è che il Paese è entrato nell'euro. Il dissenso si manifesta in forme affini al passato ma la rabbia di quei giorni è stata repressa e sembra essersi accumulata per troppo tempo.

mercoledì 30 marzo 2011

SIlvio Forever


Un film già visto su YouTube e in televisione intervallato da estratti dell’intervista di Paolo Guzzanti a Silvio Berlusconi pubblicata nel 2009 in ‘Guzzanti VS Berlusconi’ edito da Aliberti. Il primo effetto di questa pellicola è la conferma della crisi terminale della sinistra italiana che critica il film perché non attacca direttamente il presidente del Consiglio (come fa la sinistra stessa da 17 anni con l’unico risultato di rafforzare il potere di Berlusconi trasformandolo nella vittima che non è). Arriva poi anche il risentimento di Guzzanti che spiega di non aver mai consegnato a Roberto Faenza le registrazioni originali dell’intervista a Berlusconi che ha usato per il suo libro.

Il resto è noto, nessuna sorpresa nemmeno per chi a Berlusconi tenta di disinteressarsi pensando ad altro ma ne subisce di riflesso l’immagine riprodotta in loop dappertutto.

Dov’è la novità? Dov’è la notizia? Sebbene gli autori si difendano dalle accuse affermando che il nuovo sta proprio nel montare assieme per la prima volta una serie di materiali perlopiù già conosciuti, il dubbio rimane irrisolto perché quello che scorre sullo schermo non è certo un’agiografia del premier ma semplicemente la cronaca della vita mediatico-politica (il nesso è inscindibile) di Silvio Berlusconi compressa in un’ottantina di minuti che lasciano anche qualche buco qua e là. La valenza storica del prodotto è innegabile e sicuramente questo film non è stato pensato come un’inchiesta, ma mettere qualche data in più in sovraimpressione alle immagini avrebbe aiutato nella contestualizzazione il pubblico meno informato a cui probabilmente gli autori si volevano rivolgere, dato che per chi segue la politica ‘Silvio Forever’ è cosa nota anche senza andare a vederlo al cinema. Montanelli spiega saggiamente il concetto berlusconiano di verità ma il film non racconta il motivo per il quale il fondatore de Il Giornale ce l’abbia tanto con Berlusconi. Enzo Biagi intervista l’imprenditore prima che diventi Presidente del Consiglio ma nessuno ha pensato di spiegare come Biagi per ottenere quell’intervista abbia dovuto andare a farla direttamente negli studi di Mediaset, condizione posta da Berlusconi stesso.

Qualcosa da salvare naturalmente c’è. Il prologo affidato alla viva voce di Rosa Bossi Berlusconi che descrive un filgio che è l'opposto della sua rappresentazione mediatica è strepitoso. Come anche l’ottimo montaggio usato per la presentazione di Veronica Lario che sovrappone il giudizio di Berlusconi sulla sua seconda moglie alle immagini splatter di ‘Tenebre’ di Dario Argento dove alla Lario viene asportato un braccio sanguinante- parte del film tagliata quando la pellicola di Argento fu trasmessa in tv per la prima volta negli anni '80 nel palinsesto notturno delle reti Fininvest.


Sarà anche vero che il film raccoglie tutto questo insieme fotografando una memoria ormai storica ma in sostanza YouTube almeno ci dà informazioni in merito al contesto nel quale queste immagini sono state filmate e il libro di Guzzanti dice molte cose fondamentali in più rispetto a quante ne siano state estratte per il film.

martedì 22 marzo 2011

Johnnie Selfish and the Worried Men Band


Un'intervista del passato che non ha mai trovato spazio sul web. Una band blues che suona folk con un'attitudine punk.
Da quando abbiamo registrato questa chiacchierata in una folle nottata bolognese è passato forse un anno e mezzo e sono cambiate tantissime cose. La band è arrivata a suonare in Giappone e ha pubblicato un secondo album, 'Committed'.
Giovanni e Lorenzo raccontano i primi anni del gruppo e parlano di un periodo in cui stavano costantemente pensando al disco che avrebbero realizzato e pubblicato qualche mese dopo.


- quando avete deciso di fare un disco?

Luca Bistrattin: Abbiamo deciso di fare un disco appena ci siamo resi conto di avere abbastanza canzoni, suonando in giro. E’ stato bellissimo fare il primo disco, abbiamo fatto tutto da soli, l’abbiamo autoprodotto e ci siamo anche presi il lusso di escludere molte canzoni dal disco per motivi di scelta, perché non ci sembrava che suonassero bene nella scaletta finale.

- è difficile suonare a Milano?

LB: E’ facile suonare se non hai pretese, se sei disposto a fare la cover band che alla fine attira sempre qualcuno. Spesso c’è da fare i conti con gli ingressi dei gestori dei posti che guardano solo a quanta gente è venuta. Cose belle non ce ne sono tantissime, noi soprattutto suoniamo fuori, Genova, Padova, Bologna, Venezia e speriamo di muoverci ancora di più. A Genova ci siamo trovati benissimo, oltre al fatto che non ci cagava nessuno ci hanno dato un sacco di soldi.

- è difficile suonare a Milano perché fate un genere che non è né il mainstrem né l’alternativo che va di moda?

LB: Spesso l’ascolto passa in secondo piano e i gestori pensano soltanto al business nel senso più piccolo del termine. A chi gestisce un locale non interessa molto che genere suoni, c’è poca attenzione per la musica da sentire e molta più attenzione per la musica che deve vendere.

Johnnie Selfish: Se i locali hanno un giro cercano di proporre sempre quello perché vende. Noi ci muoviamo nel giro del blues anche se non facciamo proprio blues. I musicisti della band potrebbero definirsi blues ma alla fine abbiamo un attitudine più sul punk dato che non ce ne frega un cazzo dell’attitudine. Il background dei musicisti come dicevo è decisamente blues. Io mi rendo conto che il blues è di difficile comprensione, solo quelli che hanno una certa mentalità riescono ad entrare nel blues. Noi siamo un ibrido con il rock.

- come nascono le canzoni?

JS: Scrivo io tutte le parole anche se il primo testo che ho scritto era una canzone di merda. Dal punto di vista delle canzoni ci abbiamo messo poco per ingranare. I testi sono molto spontanei, non c’è la ricerca di un certo tipo di atteggiamento.

LB: …ma è proprio qui che arriva il lato blues della situazione, perché c’è la spontaneità e la quotidianità, si parla di malinconia.

- quanto c’è di Milano nelle vostre canzoni?

JS: Non ti saprei dire bene da dove vengono le canzoni, non ti saprei spiegare alla perfezione perché ho scritto quella determinata canzone. Gli artisti più maturi riescono a fare un testo perché vogliono comunicare esattamente una cosa alla gente, per uno allo sbaraglio come me è più difficile, anche perché sono italiano e scrivo in inglese perché su questo genere è difficile usare l’italiano. Gli esempi di quelli che fanno un genere come il nostro ma cantano in italiano sono abbastanza desolanti, i Modena City Ramblers ad esempio li rispetto per moltissimo per delle cose che hanno fatto in passato ma alla lunga i loro pezzi sono diventati purtroppo un cliché. Cantiamo in inglese perché questa musica nasce negli Stati Uniti. Non ho mai ascoltato molta musica italiana, a parte eccezioni come Fabrizio De Andrè.

- cosa ascoltate in questo momento?

JS: Se ti devo dire un nome italiano di dico Enzo Jannacci, comunque ora ascolto molto i Pearl Jam. La scena blues italiana la sentiamo vicina ma gli artisti emergenti italiani di oggi, l’indie punk eccetera non ci convincono. Gli ultimi punk veri forse sono stati i Dead Kennedys e comunque parliamo degli anni ’80, il nuovo punk che ci massacra i coglioni ormai da dieci anni ha rotto il cazzo, l’attitudine punk è giusta, è una cosa buona che ti semplifica la vita ma non ha niente a che fare con quello che c’è ora come l’emo che è l’attitudine punk svuotata completamente. La musica è democratica per definizione. Se fai musica non democratica, se ti chiudi in un genere non ha più senso. Sono completamente contrario a tutte le tendenze ermetiche che stanno venendo fuori in questo periodo. Nel nostro gruppo ammetto che esiste un certo ermetismo perché cantiamo in inglese ma io quando scrivo cerco anche di essere comprensibile anzi voglio che la maggior parte della gente mi capisca.

- come promuovete la vostra musica?

LB: Ci piace andare in radio e fare concerti. Poi la vendita è tutto un altro discorso. Personalmente se un progetto mi interessa compro il disco senza guardare il prezzo e se riesco lo compro direttamente dall’artista ai concerti. Se devo guardarmi attorno ascolto qualcosa su you tube e poi magari compro su Internet. Il nostro disco è nei negozi di dischi ma vende poco e in generale i dischi vendono poco nei negozi perché i prezzi sono fuori portata non per colpa di chi produce quei dischi ma per tutti i passaggi che ci sono.

- avete mai pensato di mettere il vostro disco in download gratuito?

LB: Assolutamente no. Il download gratuito non porta a nulla se non a sottovalutare il prodotto stesso. Noi abbiamo scelto di vendere il nostro disco a un prezzo popolare che è dieci euro, mi sembra una scelta onesta.

-mi sembra di capire che siate al lavoro su un secondo disco…

JS: Stiamo lavorando a un disco che abbia un tema attorno al quale costruire le canzoni. Il concept su cui mettere in piedi l’album sarebbe parlare di Working Class nel 2010, non parlare di proletariato marxista ma di gente che sta male in generale, parliamo della working class che nel tempo è diventata sempre più individualista. E’ un po’ come mi sento io, isolato dal mondo. E’ stupido cercare di mettersi in linea con le tendenze del momento. Nella nostra musica c’è insito un certo isolazionismo, non ascolto musica attuale, non riesco a farlo. Ascolto Bon Dylan, Johnny Cash, la cosa più moderna che ascolto sono i Depeche Mode e ultimamente i Pearl Jam. Pensiamo solo a Bob Dylan, è sempre andato contro corrente fin dall’inizio. Appena ha avuto successo è andato contro il suo stesso pubblico. Il punto è che tu devi credere in quello che scrivi e non dare al pubblico quello che vuole, altrimenti non lo fai.


Eva Kant hates Ginko


Ogni volta che leggo lo splendido fumetto creato da Angela e Luciana Giussani nel 1962 non posso non pensare che qualcuno dovrebbe spieghare a Giuliano Ferrara che Eva Kant è la moglie di Diabolik e non del commissario Ginko.
Probabilmente Umberto Eco ha letto male Immanuel Kant ma è anche vero che Ferrara cita fumetti che forse non ha mai letto dato che Ginko è l'arcinemico di Eva e Diabolik ed è dai primi anni '60 che il commissario cerca di incastrare, senza mai riuscirci, la coppia di criminali.
Dubito che Ginko da quarant'anni cerchi di acciuffare sua moglie...


"Secondo me Umberto Eco ha letto Eva Kant, la moglie di Ginko...è chiaro professor Eco che lei Kant lo legge fino a tarda notte ma non lo capisce?"
Giuliano Ferrara dal Teatro 'Dal Verme' di Milano, 12 febbraio 2011

Minuto 3:40

Echi dal passato

Nel 2009 ho incontrato gli Offlaga Disco Pax allo Zuni di Ferrara dopo la proiezione del documentario sulla lavorazione del loro secondo album, 'Bachelite'. La chiacchierata è poi diventata un articolo pubblicato su Rockit e firmato assieme a Sara Scheggia. Sulla webzine si trova in realtà solo un estratto dell'intervista integrale che trovate qui sotto.


-Ti è piaciuto il documentario?

Enrico Fontanelli: Non è facile per me dirlo perché tendo a pensare che sia meglio guardare al futuro piuttosto che al passato per cui è anche bello confrontarsi con un passato non troppo passato. Proprio oggi riascoltavo ‘Bachelite’, lo faccio di rado ma è appena uscita l’edizione in vinile quindi volevo sentire come suonava…ed è una tragedia ogni volta che riascolto il disco perché comunque noto dei particolari che non mi soddisfano. Questa attenzione per l’aspetto sonoro emerge molto anche nel documentario, nelle scene della registrazione del disco quando si decide di fare certe scelte piuttosto che altre, riconsiderarle.

-Il “rockumentary” di Pierr Nosari era una esigenza o è stata una proposta che vi è piaciuta?

Pierr Nosari: Io avevo molta curiosità nei confronti degli ODP da quando un pomeriggio nel giugno del 2007 ho ascoltato ‘Tatranky’ che mi ha veramente lacerato. Ho pensato “Chi cazzo sono questi?”. Quindi il documentario è stata una mia proposta individuale. Così ho contattato gli ODP e ho seguito l’ultima data di ‘Socialismo tascabile’ a Marina di Ravenna, ed è lì che ho iniziato a lavorare su uno sguardo al loro lavoro. Il catalogo è stato una delle linee direttrici dell’estetica del documentario, io avevo notato che negli ODP c’era un progetto dal punto di vista musicale, un progetto dal punto di vista della scrittura ma anche un progetto molto importante dal punto di vista grafico, quindi ho seguito la grafica degli ODP e il concetto del catalogo. Il documentario è fatto come se fosse impaginato più che girato, ho cercato di rendere quello.

EF: All’inizio pensavamo che non saremmo arrivati più in là del #20, e siamo arrivati al #157. Il catalogo nasce con l’idea di fare qualcosa come se fosse una rivista, all’epoca, si parla del 2003 se non sbaglio, per me in particolare lo vedevo come qualcosa che si rifaceva alla Factory Records, l’etichetta dei Joy Division che numerava qualsiasi forma di uscita e tutto quello che veniva fatto e prodotto. Con l’andare del tempo poi mi sono reso conto che seguirlo può essere utile anche a noi stessi per guardarci indietro o ritrovarsi, anche se l’ordine cronologico prescinde dalla data di uscita penso che magari riguardarlo tra dieci anni sarà curioso e seguire questo percorso. Conosco qualche malato che collezionava tutti i numeri…

-...e il documentario è un numero del catalogo in cui venite descritti da una persona esterna…

EF: non è un numero del catalogo dal momento in cui si è voluta riconoscere assolutamente l’autonomia del lavoro di Pierr, ed è importante questa distinzione non perché questo documentario è una delle tante uscite ma una delle poche in cui un esterno si è in qualche modo insinuato negli ODP

-La vostra musica è qualcosa di molto intimo e personale. Come è stato farvi “spogliare” da uno sguardo esterno, farvi raccontare?

Max Collini : in realtà dipende dal punto di vista di ciascuno di noi, io personalmente in vari momenti delle riprese non mi sono quasi accorto che la telecamera fosse accesa, mi sono abituato all’idea che Pierr ogni tanto venisse a riprenderci ai concerti o a Bologna alla sala di registrazione e quindi ormai faceva parte della tappezzeria, non gli davo più tanta importanza a tal punto che non condizionava più il mio comportamento, potevo tranquillamente dormire sul divano o giocare a flipper. Lui probabilmente l’ha fatto come intenzione, ha sempre lavorato da solo cercando di non disturbarci, rendendosi il più possibile invisibile, proprio per non condizionare con la sua presenza il nostro lavoro. Guardando le riprese questa sera mi sembra che raramente possa trasparire dalle nostre facce il fatto che siamo osservati proprio come se lui avesse ripreso con la telecamera nascosta.

-Qual è l’approccio del regista. E’ un rockumentary perché si tratta di raccontare con un documentario una band rock?

EF: ci tengo a precisare che Pierr aveva l’assoluta libertà di fare il suo lavoro come voleva. Gli ODP hanno a che fare con tutto tranne che col ‘rock’. E’ un nome convenzionale per fare capire che si tratta di musica leggera nel 2008, poi c’è musica leggera e musica leggera. Penso comunque che se non ci fosse stato il ‘rock’ probabilmente non saremmo qui.

PN: Ho fatto un lavoro sui Massimo Volume e quello effettivamente era un rockumentary perché il linguaggio era quello. Con gli ODP è stato diverso. In questo caso per rockumentary si deve intendere l’ascolto delle immagini perché la musica ha un aspetto preponderante, io come regista ho cercato di rendere dal punto di vista musicale le immagini che avevo a disposizione, il lavoro che ho cercato di fare è stato questo. La cosa che più mi interessava era l’ascolto di ciò che si vede, per questo motivo secondo me si può parlare di rockumentary, anche se nel film come nella musica degli ODP il ‘rock’ non c’è come linguaggio. Era un mio intento capire perché proprio gli ODP avessero rappresentato questo tipo di caso all’interno della musica indipendente italiana. Non ho alcuna pretesa di spacciare questo lavoro per un documentario antropologico, sociale.

MC: Credo che dal documentario non traspaia poi questa grande riflessione, critica cervellotica o chissà quale studio in profondità ed è evidente che per ogni brano non possiamo fare sei mesi di seminario sulla musica elettronica piuttosto che sulla letteratura. Per quanto il lavoro sia stato molto pensato, responsabile e per noi importantissimo, la profondità, se c’è, è il frutto di quello che noi siamo come persone, come musicisti o come pseudo scrittori, nel mio caso. Ciò che abbiamo fatto fino ad oggi per arrivare poi a scrivere poi certi brani.

-Poi in realtà vengono esplorate anche delle canzoni come ad esempio ‘Sensibile’

PN: Sono tre i brani scelti per un lavoro più approfondito:‘Onomastica’ che ho avuto l’onore di ascoltare nel momento in cui veniva provata in studio per la prima volta, con minacce da parte di Enrico di non rivelare nulla sul nuovo brano (risate)…’Fermo!’ che è un “documentario vetero” come Max lo definisce ai concerti, e quindi straordinariamente vicino al nostro lavoro e poi appunto ‘Sensibile’ che è un pezzo che sento molto vicino dal punto di vista empatico. Ho montato dei materiali su dei pezzi che sono stati anche loro a guidarmi, anche se è stato molto casuale.

-Hai avuto delle ispirazioni particolari per il documentario o altri modelli di rockumentary?

PN: per questo documentario devo dire che i riferimenti sono uno cinematografico e l’altro artistico in senso lato. Il riferimento al cinema è Šarunas Bartas, un regista lituano che mi ha colpito molto sicuramente nella seconda parte del lavoro dove cerco di far parlare le immagini senza intervenire nel montaggio del dialogo. Mentre per quanto riguarda l’arte devo ammettere che ho nel dna l’opera di Joseph Beuys come artista, una persona che lavorava molto sui concetti. Non ho avuto dei modelli di altri rockumentary mentre per il documentario in generale un lavoro che veramente mi ha colpito sia stato ‘Quando eravamo re’ su Mohammed Alì, secondo me da qualche parte del documentario degli ODP c’è un po’ di quel lavoro.

-Che effetto fa cantare ‘Sensibile’ dopo che il tribunale di Roma ha sancito la libertà condizionale a Francesca Mambro?

MC: Quando abbiamo registrato quel brano, di fatto, il loro percorso era già fuori dalla galera da un po’. La decisione del tribunale ha decretato una condizione che esisteva già. Ho scritto quel testo credo nel 2002, dopo aver letto il libro ‘A mano armata’ di Giovanni Bianconi che ripercorre la storia dei NAR. Non conoscevo bene la storia dei NAR e mi è venuta fuori questa cosa, che era una riflessione rispetto a una lettura così forte come quel libro. Sono persone che hanno poco più dei miei anni, ma quando io facevo le medie loro erano abbastanza grandi per poter vivere delle esperienze diverse dalle mie come gli anni di piombo che per fortuna non ho vissuto. Oltre alla strage di Bologna, alla quale molti riconoscono il beneficio del dubbio, c’è anche tutto il resto che è talmente grave, talmente violento e sanguinario che non può prescindere dal bene e dal male. Puoi avere vissuto l’epoca storica più violenta del dopoguerra, ma questo non distingue il bene dal male, e vale tanto per i NAR quanto per altri gruppi terroristici di diversa matrice storica o politica. Ora non voglio mettermi a sindacare sul fatto che loro devono stare in galera e altri no, ma certo la divisione tra bene e male è una divisione che nasce abbastanza presto, e quando vedo queste alzate di spalle o qualcuno che dice “voi non potete capire quegli anni perché non gli avete vissuti” mi viene da dire “ma perché no?”. Posso capire che fossero anni violenti ma certamente alcune cose che hanno fatto questi qua, anche se accadute all’interno di un contesto violento non possono essere giustificate. Oltretutto anche dal punto di vista morale hanno sempre tenuto molto a rivendicare il loro essere NAR, la loro diversità rispetto agli altri, la loro visione nichilista disinteressata, nessun compromesso e bla bla bla. Io ho letto quel libro e ne sono rimasto sfavorevolmente impressionato. Probabilmente il peggior gruppo in assoluto posto se si possa fare una classifica degli orrori.

-Avete avuto delle denunce o delle querele per questo brano?

MC: non ne abbiamo avute, probabilmente perché siamo una cosa non sufficientemente visibile per cui qualcuno si interessi a noi in questo senso. In ogni caso credo anche che sul testo non ci sia molto da discutere dato che le sentenze sono quelle. Per un fatto così terribile, che è una cosa un po’ fuori dal nostro ambiente, dal mondo che raccontiamo di solito è stato interessante lavorare attraverso la parola del vocabolario. Non penso che sia importantissimo il giudizio storico sui NAR, è una storia che raccontiamo perchè per noi riguarda argomenti non usuali. Credo solo che bisognerebbe fare uno sforzo per fare comprendere che queste due belle facce pulite non hanno alle spalle soltanto qualche errore di gioventù ma ben altro. A questo proposito basta leggere il sito sulla strage di Bologna che riporta senza dare giudizi la loro storia dal punto di vista politico, il modo in cui quegli omicidi furono compiuti: qualcosa che fa rimanere oggettivamente atterriti.

-Il caso discografico ODP:

MC: Sicuramente è un effetto positivo ma noi ci consideriamo comunque un gruppo domestico, e anche piuttosto provinciale. Ci tengo anche a smentire la solita leggenda sul fatto che noi siamo di Cavriago perché noi siamo di Reggio Emilia, da Cavriago vengono i Giardini di Mirò ma noi ODP siamo tutti nati e residenti a Reggio Emilia. Io ho fatto il primo concerto a 36 anni suonati mentre Enrico e Daniele hanno cominciato a suonare nell’adolescenza come spesso accade ma il nostro approccio è sicuramente molto tranquillo. Io ho dieci anni in più di loro e per me essere negli ODP è strano ma anche molto bello.

-Raccontate di vicende politiche che molta gente che viene a vedervi suonare non ha mai vissuto, se fossi un ventenne tra il pubblico ad un concerto cosa te ne faresti delle storie che raccontano gli ODP?

MC: La cosa stupefacente è che ci sono ragazzi ventenni che vengono ai nostri concerti. Probabilmente quello che raccontiamo a volte per loro è proprio un altro mondo, un altro pianeta, un’altra dimensione e forse anche in questa visione fantascientifica ci trovano delle curiosità e si chiedono “di che cazzo stanno parlando questi qua? Da dove vengono fuori”. Da provinciali che vanno a suonare fuori ci siamo resi conto che il mito dell’Emilia Rossa è molto più forte fuori di quanto lo sia nella sua terra d’origine, mentre per noi tutto ciò è normalità per altri non lo è. E poi l’Emilia non è un’isola che non ha contatti con il resto del mondo, quello che è successo altrove in qualche modo è passato anche da noi, forse abbiamo più anticorpi e sarà stato molto meno invasivo e prepotente che da altre parti, comunque è passato, non è che adesso a Reggio Emilia c’è la gente in strada con le bandiere rosse! C’è sicuramente una tradizione che in parte si è mantenuta, però con tutti i limiti di una tradizione culturale che in questo momento purtroppo è considerata decisamente perdente, e questo è molto pericoloso perché accettando l’idea che sia perdente si accetta anche di uniformarsi a dei valori altrui pensando che questi siano vincenti e me sembra un suicidio assoluto. Un ragazzo ventenne che viene ai nostri concerti se non ci conosce potrà trovarci molto strani, se ci conosce già e ci apprezza probabilmente lo fa anche grazie a tradizioni familiari, e non c’è bisogno di venire da Reggio Emilia per sentirsi vicini ad un certo filone, anche a Palermo c’è stata una forte tradizione sindacale, anche nel Veneto cattolico il PCI prendeva sempre il suo buon 20%. Noi parliamo ad una minoranza di appassionati di musica indipendente, gli ODP purtroppo non possono parlare a quello che tutto il giorno si ascolta Vasco Rossi. E’ ovvio che il nostro progetto non sempre può raccogliere l’attenzione di un pubblico vasto, diciamo massificato. Certamente è meglio piacere molto a pochissimi piuttosto che risultare carini e innocui a tutti quanti, qualche cosa che passa come una radiografia. La cosa importante per gli ODP è stata quella di farsi riconoscere subito agli ascoltatori per cui c’era chi non ci poteva soffrire e invece chi si appassionava tantissimo, e questo ci ha aiutato molto. Non siamo certamente un gruppo che fa restare indifferente chi lo ascolta. Non abbiamo però un intento pedagogico, quando noi raccontiamo storie sono le nostre storie. L’ideologia è un sottofondo per raccontare alle volte altro. Non è che noi domani facciamo un partito, non è questo l’intento, facciamo quello che ci piace fare ed è molto bello quando qualcuno si riconosce o quando qualcuno l’apprezza. Non abbiamo certo un progetto politico né siamo il classico gruppo militante tradizionale, io ho sempre ammirato molto gli Assalti Frontali o i Gang ma noi sicuramente siamo un gruppo diverso. Poi ognuno di noi tre ha le sue sfumature politiche all’interno del gruppo, non siamo un monolite. Io ho sempre avuto una posizione molto legata al PCI che adesso non esiste più, sono stato iscritto per anni ai DS ma ognuno di noi tre ha fatto il suo percorso, oltretutto apparteniamo a due generazioni differenti anche se non si può negare che siamo tutti dalla stessa parte. Adesso c’è questo vento terrificante, e preoccupano anche le contromisure a questo vento che sono un po’ deboli…forse è una cosa inevitabile, non lo so. Abbiamo una politica che è esattamente lo specchio della società, è la fotografia esatta di questo paese. Una volta la politica si proponeva un po’ più in alto, era una cosa molto seria e oggi è un’altra cosa. Io non voglio avere un approccio qualunquistico, non sono per la protesta in quanto tale ma non posso che prendere atto che quello che abbiamo è questo e quello che ci aspetta probabilmente è anche peggio. Siamo anche in un momento epocale da vari punti di vista, di solito sono momenti in cui nascono delle proteste molto grandi e molto caratterizzate ma in realtà non ho questa impressione. Nonostante tutto mi informo: guardo due o tre telegiornali al giorno, leggo i quotidiani, anche quelli della destra ma per me è molto difficile approcciarmi alla politica di oggi tendo a considerarla talmente poco interessante, talmente poco coinvolgente che quasi non me ne curo.

Il porno è diseducativo? Certo, come il rock

Intervista a Silvio Bandinelli (via mail, 19 dicembre 2010)

Filippo Cicciù: Come, quando e perché sei arrivato al mondo del porno?

Silvio Bandinelli: Sono arrivato al mondo del porno negli anni 90. Facevo il pubblicitario rampante, me la cavavo anche bene, con una agenzia che amministrava budget consistenti, soprattutto nel mondo del giocattolo.Lavoravo in sinergia con Publitalia, l'azienda di Fininvest che raccoglieva pubblicità. Il "braccio armato" di Berlusconi, allora solo editore. Un editore ai tempi straordinario e innovativo, che aveva rotto il monopolio Rai e attivato un circuito virtuoso di nuove aziende e merceologie che si affacciavano per la prima volta nella pubblicità tv e crescevano esponenzialmente grazie ad essa. Da lì tutta una nuova generazione di giovani pubblicitari, nonchè tecnici, professionisti, nuove figure professionali. La prima volta che andai a Milano due, in Fininvest ,e visitai tutte le strutture del gruppo, rimasi impressionato dalla giovane età della prevalenza degli addetti, anche nei ruoli più importanti. Adesso Berlusconi è uno dei motivi che mi ha indotto a lasciare l'Italia. Disgressione a parte torniamo a noi. Parallelamente all'agenzia di pubblicità aprii una casa editrice e pubblicai, tra i primissimi in Italia, delle riviste per bambini con il giocattolo allegato. La casa editrice era in realtà costruita come operazione di marketing e supporto alle aziende del settore giocattolo che curavo. Le vendite all'inizio furono straordinarie portando soldi all'editore e gran benefici alle aziende che "regalavano" nelle mie riviste il giocattolino desiderato e pubblicizzato. Poi entrarono nel business i grandi gruppi editoriali, con politiche di prezzi sempre più basse e per la mia azienda era diventato impossibile concorrere. Per salvare azienda e occupazione il mio distributore (MEPE, Milano) mi consigliò di affacciarmi al mercato dell'hard. Entrai così in contatto con i produttori di Cicciolina, tra cui Riccardo Schicchi e ,insomma, fu amore a prima vista. Per un pò tenni i piedi su due staffe e poi scelsi il margine, mi liberai e tornai alla mia natura anarchica e anti borghese. Finalmente inviso ai benpensanti

FC: Un paio d’anni fa hai partecipato a un incontro sul mondo del porno all’Università di Bologna. Ricordo vagamente che parlavi in qualche modo di un intento ‘politico’ o comunque contestatore verso il sistema come cardine della tua produzione. Del resto, scorrendo l’elenco della tua filmografia ci sono titoli come ‘Anni di piombo’ o ‘Lotta di classe’ che sembrano avere come punto di partenza contesti politico-sociali. Se non ricordo male parlasti anche di un film sugli scandali di Vallettopoli e un film come Mucchio Selvaggio, prodotto dalla Show time, rappresenta uno spaccato di società che viene spesso nascosto dai tradizionali mezzi di comunicazione (mi riferisco all’universo giovanile di cui parla il film). Vivi il tuo ruolo di regista porno anche in senso politico in qualche modo? Il porno può essere un modo per criticare la società? Intendere il porno in questo modo può essere considerato in controtendenza nel contesto italiano?

SB: La cosa è nata come esercizio intellettuale e anche di linguaggio: contaminare il porno con temi cosiddetti alti, facendo del "velleitarismo" un valore aggiunto. Così, senza alcun timore reverenziale, ho parlato di fascismo e resistenza con il film "Mamma" , invitato poi in una proiezione- dibattito alla Casa della Cultura di Milano, tempio dell'intellighenzia di sinistra. Poi è stata la volta di Anni di Piombo, tra polemiche per le varie prese di posizione delle associazioni vittime per il terrorismo ( poi rientrate poichè il film era rispettoso di fronte a questi temi). Poi ho fatto addirittura un libero adattamento del Macbeth, che è diventata un'occasione per parlare di Mafia e della sue metastasi nel corpo della società, usando nei titoli di testa foto originali dell'omicidio Fava e Falcone( materiale datomi da un amico ,naturalmente rimasto anonimo, giornalista del "Giornale di Sicilia") Qui qualcuno si è indignato, con attacchi in rete e qualche telefonata, ma insomma niente di che. E così via, sino a ispirarmi a Cesare Previti e alla sua vicenda nel film "Abuso di potere". C'è stato così il corto circuito culturale che attendevo, ma, e qui mi sono stupito, l'innesto, il trapianto nel corpo del porno di " corpi diversi" non ha creato il fenomeno del rigetto e il tradizionale pubblico del porno ha decretato il mio successo di regista e autore (modesto, per carità, si parla di ambiti stretti). Comunque il porno può essere un modo per criticare la società, io l'ho dimostrato. Certo, come dice Guccini, "con le canzoni non si fan rivoluzioni" e figuriamoci con i film porno. Allo stato attuale sono l'unico regista hard al mondo ad aver affrontato queste tematiche e ad averle fatte diventare un sorta di marchio di fabbrica. Una precisazione : ho sempre lavorato in stretto contatto con il mio studio legale, ed ogni mia sceneggiatura è passata al vaglio del mio avvocato.

FC: Il porno è diseducativo?

SB: Certo, come il rock.

FC: Sempre in quel incontro, se non ricordo male, spiegavi come in Italia l’industria porno sia prevalentemente dominata da individui un po’ fascisti a causa dell’estetica del porno. E’ vero? Perché secondo te succede questo?

SB: Assolutamente vero. Mentre in tutti, ma dico tutti, gli altri paesi, America compresa, la gente del settore, intendo gli imprenditori e i registi, sono liberal, di sinistra, figli della cultura anti borghese, in Italia no. Sono al 90% di destra e al 70% dichiaratamente fascisti, con esposizione nelle proprie case o negozi (sexy shop) di busti e calendari del Duce. Succede questo perchè siamo un popolo così, di teste di cazzo. Il berlusconismo in quale altro paese sarebbe possibile? Siamo un popolo di teste di cazzo.

FC: L’articolo 21 della Costituzione della Repubblica italiana garantisce a tutti il “diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” ma qualche riga dopo esprime un limite esplicito che è rappresentato dal cosiddetto “buon costume”. Quanto influisce questo aspetto sulla produzione di film porno in Italia.

SB: Io ho fatto film senza auto censure, confrontandomi solo con il mio ufficio legale. I miei film più politici hanno comunque trovato molte censure e difficoltà sui mercati internazionali, soprattutto quelli televisivi. Non piace che il porno parli della realtà, di noi.

FC: Se esistono difficoltà per produrre pornografia la causa è anche da ricercare nella morale cattolica che pervade l’Italia?

SB: Mah, io grandi difficoltà non le ho mai incontrate. Mi sono sempre fatto i cazzi miei. Hanno cercato di annientare la mia azienda tramite una causa che ci ha intentato l'ENPALS, l'istituto di previdenza dei lavoratori dello spettacolo. Ci hanno chiesto cifre a cinque zeri sostenendo che la nostra attività era assimilabile a quella del cinema e quindi addebitandoci evasioni contributive etc. La causa l'abbiamo però vinta sostenendo e dimostrando che il porno non è mai stato considerato assimilabile al cinema, tant'è che non ha mai potuto usufruire dei vari contributi dati al settore ed anzi ha sempre subito, vedi l'IVA al 20 nel settore dell'editoria cartacea, leggi e normative discriminanti. Per quanto riguarda i cattolici e la loro morale, beh, sono i nostri migliori clienti. La Chiesa ci ha sempre tollerato e mai fatto attacchi specifici e frontale.

FC: Paolo Guzzanti ha appena fatto uscire un libro intitolato ‘Mignottocrazia’; il rapporto tra il mondo della politica e gli scandali sessuali, o i favori sessuali in cambio di poltrone, probabilmente non è oggi così diverso da un tempo ma la differenza con il passato sta nel fatto che oggi questo fenomeno è sotto gli occhi di tutti e nelle battute della gente, legittimato da giornali e tv e probabilmente assorbito dal senso comune. Cosa pensi di questo fenomeno, stai già pensando di farne un film?

SB: E' chiaro che il Potere, quello con la P maiuscola, ha sempre goduto e imposto pratiche di favoritismo sessuale, forme di ricatto psicologico etc. E credo che in misura proporzionata, questo possa accadere anche quando il potere si presenta con la p minuscola. I miei film hanno spesso evidenziato tali dinamiche. Certo l'amplificazione dei media, il coinvolgimento di B. ne fanno adesso un fenomeno di (mal) costume. A Febbraio esce "Bunga Bunga, Presidente" ,prodotto dalla SilvioBandinelliFactory e diretto da Andy Casanova e Marco Trevi

FC: La crisi economica globale ha colpito anche l’industria pornografica?

SB: Naturalmente, colpendo tutti i consumi, non primari "in primis".

FC: Il ruolo delle nuove tecnologie, inteso come veicolo di contenuti (you porn, film veicolati in formato digitale…) ha fatto più male o bene all’industria pornografica?

SB: Non solo le ha fatto male, l'ha praticamente distrutta. Il porno in rete non lo si ferma e controlla. Dall'infinità di contenuti free, al peer to peer (download illegali?),alle web cam, al porno fai da te etc. L'industria mondiale del porno è crollata e chi resta vivacchia a stento nella speranza che la rete, dopo tanto sottrarre, porti. Allo stato attuale però la situazione non è mutata. Il supporto rigido ( DVD) ormai è oggetto di modernariato (ce l'hanno venduto, al tempo , a tutti noi consumatori, come una gran novità, consapevoli invece che era già superato, con i giorni contati). Le videoteche rimaste sono gli ultimi avamposti di una guerra già perduta. La chiusura del colosso Blockbuster in USA ne è evidente testimonianza.

FC: Il passaggio dalle vhs ai dvd e ora al download digitale quanto ha influito in termini economici sull’industria?

SB: Vedi sopra. Le piattaforme digitali di streaming e download pagamento che hanno redditività saranno una decina in tutta la rete. Sono perlopiù statunitensi e vivono perchè hanno un'infinità di prodotti, praticamente tutte le case di produzione porno. Ma i soldi che arrivano ai produttori sono pochi. Nella redistribuzione il reddito si polverizza.

FC: Si moltiplicano a macchia d’olio siti che ‘offrono’ gratuitamente contenuti porno facilmente accessibili sulla rete, si passa da prodotti ‘casalinghi’ a spezzoni di veri e propri film. Questo ha forse contribuito alla nascita di un nuovo genere in ambito amatoriale, quello che Sergio Messina chiama ‘real core’. Quanto ha influito questo fenomeno sull’ideazione e la creazione dei tuoi film e quanto ha perso la Show time, o l’industria in generale, in termini economici a causa di contenuti ‘rubati’ dalla rete.

SB: il genere amatoriale l'industria del porno lo aveva già inventato quindici anni fa e oltre, anticipando quella voglia di "realtà" fatta poi propria dall'intrattenimento mainstream con l'avvento dei reality. La rete ha potuto poi declinare questo trend attraverso la suddivisione in ulteriori nicchie, nelle web cam, nei porno autoprodotti e auto interpretati e messi in rete, nell'infinità di siti tematici, di blog etc. Internet è attualmente lo specifico più vicino al porno e al voyeurismo di chi lo consuma. Il problema è che ha sempre meno senso il film porno tout court, lo star-system che girava intorno e tutto il sistema produttivo e distributivo. In ultima analisi il problema di fondo è uno: il mercato si è spostato prevalentemente nella rete, ma la rete restituisce un beneficio economico assolutamente insufficiente.

FC: Il settore, almeno negli Usa, che dà maggiore entrate è ancora quello della vendita di video ma il porno via internet è in costante crescita. In che modo sarà possibile dominare questo fenomeno?

SB: In Europa (Italia compresa) la situazione non è molto differente. Prevalendo nella rete il free, ancora le maggiori entrate vengono dal dvd, ma sono entrate sempre più magre. Il risultato è che non esistono praticamente più le produzioni ad alto budget ed è completamente sparito il mercato dei diritti

FC: Quali sono le difficoltà provocate dalla cosiddetta pornotax, definita dal ministro Giulio Tremonti “un’imposta etica”?

SB: Non lo so. Mi sono trasferito all'estero, in Spagna, da due anni e lavoro con una società di diritto sanmarinense. Da quello che so, in via ufficiosa, nessuno la paga, anche perchè non credo vi siano bilanci in utile tra i produttori e distributori. Definire la porno-tax una tassa etica nel paese del bunga-bunga mi fa semplicemente ridere.

FC: Qual è la dimensione dell'industria pornografica italiana?

SB: Sempre più esigua. Le aziende che producono e distribuiscono film porno sono state falcidiate e adesso quelle degne di questo nome si contano sulle dita di una sola mano.

Il porno è più etico della politica italiana

Frigidaire è stata la più rivoluzionaria rivista italiana degli anni '80. Portava in edicola in fumetti di Charles Burns e di Andrea Pazienza, sullo stesso numero si poteva trovare un'intervista a Norberto Bobbio e due pagine dopo una chiacchierata con la porno diva Ilona Staller, in arte Cicciolina. Il cyborg coatto Ranxerox, la grafica di Stefano Tamburini e lo splatter di Squaek the Mouse vent'anni prima che Bart Simpson guardasse alla tv Itchy and Scratchy.
Negli anni '90 la rivista chiude momentaneamente i battenti e dal giugno del 2010 Frigidaire è tornata in edicola.

Il numero di marzo 2011 ospita un mio articolo, si tratta di una riflessione sulla situazione della pornografia in Italia che parte da un'intervista che ho fatto al regista e produttore hard Silvio Bandinelli. Qui un'anticipazione dell'articolo (il resto lo trovate in edicola a soli 3 euro) mentre prossimamente su questo sito troverete l'intervista integrale mai pubblicata.

Se il porno è più etico della politica
l'Italia dell'hard tra bilanci in rosso e calendari del duce

L’Italia è in decadenza anche nel mercato del porno. Schiacciata dal peso dello strapotere dell’industria statunitense e devastata dalle produzioni a buon mercato dell’Europa dell’est, la pornografia tricolore accusa anche lo sgambetto della pirateria informatica che non permette al settore di incassare dalla rete. Paradossalmente è proprio sul Web che si è spostata la maggior parte dei contenuti dato che le riviste sul mercato hanno lo stesso peso della carta igienica e il dvd è un supporto che non decolla. I danni che la rete ha causato al porno non logorano solo l’Italia ma il nostro paese rappresenta un’eccezione a livello mondiale per altri motivi. Per scoprirlo basta scambiare due chiacchiere con il pornografo più anarchico d’Italia.
"Sono arrivato al mondo del porno negli anni '90. Facevo il pubblicitario in sinergia con Publitalia, il braccio armato di Berlusconi, allora un semplice editore, che mi sembrava straordinario e innovativo. Eppure ora Berlusconi è uno dei motivi che mi ha indotto a lasciare l'Italia".
Una volta entrato nel mondo dell'hard, Bandinelli aveva in mente di andare oltre il profitto che deriva dall'eccitazione masturbatoria del consumatore di porno e raccontare il marciume politico, mostrare come il potere sia intimamente legato al sesso, rivelare i lati più oscuri e inconfessabili della società. "Volevo contaminare il porno con temi cosiddetti alti; l'innesto nel porno di temi diversi non ha creato alcun fenomeno di rigetto e il tradizionale pubblico ha decretato il mio successo".

(continua su Frigidaire...)