domenica 11 dicembre 2011

Big Brother is watching you, SIlvio


La riflessione politica sulla caduta di Berlusconi arriva direttamente a partire da pagina 153 di questo interessante saggio dove Joseph Nye sostiene che "i leader devono essere imprenditori dell'identità".

Il collegamento con il fallimento di Berlusconi come leader arriva un po' più sotto: "E' molto più facile rafforzare lo status quo che cambiare l'identità", sostiene Nye. "Molti leader si alimentano dell'identità e della solidarietà del proprio gruppo, assumendo un approccio isolazionista (...). 

E' proprio qui che cade Silvio.



Il Berlusconi del ’94, dopo un accurato studio con un uso scientifico del marketing sulla società italiana, riesce raccogliere la vasta, e maggioritaria, area degli scontenti sotto la sua ala protettrice, dà un senso a questa massa e definisce un gruppo nuovo, con una nuova identità, che non è paragonabile con il passato. Vince sugli altri schieramenti perché le alternative o ricordano troppo un passato che gli italiani non sopportano più  e sono troppo timide nel tentare di svincolarsi dal vecchio (come nel caso del Pds) o sono troppo poco rappresentative (gli altri). La vasta area degli scontenti torna a sentirsi parte della nazione perché Berlusconi si rivolge a loro chiamandoli “italiani” guardandoli direttamente negli occhi dallo schermo televisivo, attraverso uno stile comunicativo nuovo e inedito per l’Italia. Se nel ’94 gli isolazionisti erano gli oppositori di Berlusconi che non erano riusciti a parlare al di fuori dalla loro base elettorale, o comunque al di fuori dallo stesso uditorio- gli ex comunisti e quelli che erano rimasti fuori dalla DC e dai socialisti- successivamente sarà Berlusconi a finire per contornarsi sempre delle stesse personalità e mantenere sempre lo stesso stile non giova in un periodo in cui le tendenze della comunicazione cambiano tanto rapidamente quanto l’attenzione rispetto a un programma televisivo. 


Dieci anni fa “il Grande Fratello” era la novità assoluta e raccoglieva attorno a sé un numero straordinario di telespettatori, oggi le televisioni di Berlusconi tentano di riproporre quel programma sempre secondo la stessa logica ma il pubblico del passato si è ridotto a un gruppo esiguo e minoritario. E’ questa la metafora migliore della parabola discendente di Berlusconi.

mercoledì 19 ottobre 2011

Il Male risorge due volte ed è più cattivo di prima


Torna la rivista che falsificava il presente ma il Male di oggi fa a botte con la sua stessa storia. I protagonisti della redazione storica, Vincino e Vincenzo Sparagna, rompono e si fanno concorrenza con due riviste diverse. Vincino: “Vogliamo fare satira e la polemica non mi interessa, mi seccano solo le bugie”. Sparagna: “Siamo la loro cattiva coscienza, ovvero proprio quello che diciamo di essere e che loro non sono più da tempo”.

Il Male è stato il più importante foglio satirico italiano. Fondata nel 1978 da Pino Zac, la rivista esplose come una bomba negli anni in cui l’Italia diveniva il campo di battaglia per la Guerra Fredda e il mondo politico cercava ad ogni costo un’improbabile solidarietà nazionale. Mentre il Paese schiacciato dal terrorismo politico grondava sangue, il settimanale portava in edicola una satira dirompente e mai vista che scioglieva la tensione e attaccava frontalmente il marcio della politica da destra a sinistra attraverso disegni, parole, fumetti e quotidiani falsificati che sembravano più reali di quelli ufficiali. La redazione era formata da giovani ragazzacci che oggi sono considerate le migliori firme della satira italiana, da Vincino a Jacopo Fo, da Vauro Senesi a Vincenzo Sparagna. Il settimanale era apprezzato dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini che invitò la redazione a cena al Quirinale perché voleva una vignetta di Andrea Pazienza che compariva in una delle copertine del Male. Nel 1982, dopo cinque anni gloriosi, il Male ha chiuso i battenti per sempre, è morto senza pretendere funerali di Stato e le celebrazioni negli anni si sono susseguite in maniera spontanea e disordinata. Dopo la morte del Male, quel “manipolo di ragazzi geniali” si è sciolto, alcuni di loro hanno dato vita, negli anni ’80, a una rivista notevole come Frigidaire, altri si sono persi per strada e c’è chi ha deciso di continuare a fare satira trovando sbocco soltanto in minuscoli spazi sperduti nel mare di inchiostro delle grandi testate nazionali, le stesse che prima criticavano falsificandole senza problemi.

Passano quasi trent’anni e ogni tanto si vocifera di un imminente ritorno del Male che però non arriva mai. Durante la prima settimana di ottobre 2011 questa illusione si trasforma in realtà e in edicola arrivano addirittura due riviste chiamate “il Male”. Per capire questa strana storia bisogna tornare un po’ indietro nel tempo. Un anno e mezzo fa è stato pubblicato su Internet un video in cui Vincino e Vauro Senesi, truccati da zombie, importunavano parlamentari fuori da Montecitorio annunciando che il Male sarebbe tornato presto in edicola. Di lì a poco viene allestito un sito web dove compare il ‘numero 0’ di questo nuovo Male, uno spazio nella rete che contiene un po’ di vignette e satira politica firmata, oltre che dagli stessi Vauro e Vincino, da Riccardo Mannelli, Tanino Liberatore, Massimo Bucchi, Daniele Luttazzi e molti altri. Grattando un po’ sotto la superficie si scopre che in quello stesso periodo Vincenzo Sparagna, ex redattore del Male e direttore di Frigidaire, contattava Vincino cercando di capire perché si fosse messo a rifare il Male proprio con Vauro che aveva fatto parte della rivista storica ma aveva abbandonato dopo appena tre numeri. “In redazione- racconta Sparagna- la fuga di Vauro passò sotto silenzio perché non contava nulla. Comunque lo spunto fu la mia profezia sull’imminente rapimento di Moro”. Sparagna si riferisce a un articolo firmato da lui stesso e apparso sul terzo numero del Male dove veniva pubblicata una rubrica di chiromanzia applicata alle mani dei politici dell’epoca. Nel testo si legge che le linee del palmo di Aldo Moro sono “un segno certo di carcerazione”. Per questo motivo “Vauro riportò la foto della mano di Moro con il mio testo ‘profetico’ su l’Unità- continua Sparagna- additandomi all’attenzione degli inquirenti. Forse pensava davvero che io sapessi del prossimo rapimento e che fossimo tutti in qualche modo fiancheggiatori delle Br. E’ una delle molte idee sbagliate della sua vita di pseudo comunista”. Effettivamente sull’Unità di venerdì 19 maggio 1978 si trova un articolo in cui l’organo del PCI si scaglia contro il Male e definisce quel genere di satira “disgustosa”.

Ma torniamo al passato più recente, siamo nel 2010 e Vincino sta cercando di rimettere in piedi il Male assieme a gran parte della vecchia redazione senza però chiamare Sparagna a fare parte della squadra. Passa qualche mese e finalmente le condizioni per un ritorno del Male diventano qualcosa di concreto: “Dopo dieci anni di false trattative e false partenze- racconta Vincino- finalmente a maggio di quest’anno ci hanno offerto una piccola ma seria possibilità con un meraviglioso giovane editore che è Francesco Aliberti e con una tosta come Cinzia Monteverdi” (entrambi azionisti del Fatto Quotidiano, ndr). Mentre Frigidaire di Sparagna esce mensilmente con una redazione di giovani autori, Vincino e Vauro di mettono a lavorare per costruire la nuova rivista chiamando le migliori firme della redazione del Male storico e tenendo gli occhi aperti per scovare sconosciuti di talento. Durante l’estate appena trascorsa la voce del ritorno del Male diviene una certezza, tra gli appassionati e i curiosi cresce l’attesa per la pubblicazione del primo numero, annunciato per la prima settimana di ottobre. Ma inaspettatamente succede qualcosa di imprevisto e improbabile quanto l’arresto di Ugo Tognazzi come capo delle BR annunciato trent’anni prima dai quotidiani falsificati dal Male storico. Il cortocircuito mediatico questa volta scatta perché sabato 1 ottobre il Male esce in edicola ma non si tratta della creatura di Vauro e Vincino bensì di un “falso” Male in “edizione popolare” partorito dalla mente di Vincenzo Sparagna per rubare la scena ai suoi vecchi compagni. “L’idea di rubare ciò che ci era stato rubato- spiega il direttore di Frigidaire- mi è venuta al principio di settembre, quando mi hanno detto che il pluriannunciato settimanale di Vauro e Vincino sarebbe uscito a ottobre. Questo colpo- continua- è stato preparato in meno di dieci giorni ma sarà un mensile in piena regola, con un suo carattere e una sua ricerca del tutto indipendente dalle cazzate del salotto vaurese”. In questa trappola cadono in tantissimi, su La Stampa Massimiliano Panarari dedica un lungo articolo alla rinascita del Male dove spiega che la trovata è di Vauro e Vincino ma si sbaglia e pubblica la copertina del Male di Sparagna a cui attribuisce la direzione della testata.

Si tratta di un furto con destrezza nel supermercato della comunicazione messo in atto con lo stesso spirito di trent’anni fa, o così sembra. Subito arrivano i complimenti anche da Vincino ma poi si scatena l’inferno. “All'inizio l'ho presa bene e prima di leggere ho fatto i complimenti a Sparagna- spiega il vingettista- ma poi l'ho letto e mi sono cadute le braccia, non tanto per gli insulti a me ma per la pochezza dell'operazione”. La copertina del Male di Sparagna è disegnata da Giuliano, un ex redattore della rivista storica, ma appena si gira pagina appare un editoriale firmato da Tersite (alias Sparagna) che critica su tutti i fronti l’operazione che stanno per realizzare i suoi vecchi compagni definiti in maniera sprezzante “star della satira da salotto televisivo”. Vincino risponde bollando l’operazione come una “furbata editoriale” e rispetto ai contenuti non ha mezzi termini: “disegni pessimi, cose che manco trent’anni fa avremmo pubblicato ma- aggiunge- Vincenzo è fatto così e di satira non ha mai capito molto”. Dall’altra parte della barricata di questa guerra civile Sparagna rivendica con convinzione il valore della sua battaglia: “Abbiamo solo fatto il nostro nuovo Male dopo l’annuncio di una ripresa furba della testata da parte di gente che non c’entrava più niente”. Il direttore di Frigidaire si sente legittimato a combattere perché i suoi ex colleghi di redazione starebbero utilizzando lo spirito del Male storico soltanto per guadagnare dei soldi: “Sono ex di se stessi e hanno fatto da tempo, almeno venti anni, scelte personali di carriera, cercando di capitalizzare la loro partecipazione al Male per avere successo in prima persona nell’industria culturale. Il fatto che alcuni dei miei ex compagni siano stati rivoluzionari in gioventù non significa niente. Tutti hanno cercato il successo borghese ripudiando nei fatti le loro scelte giovanili. Oggi la partecipazione di molti di loro alla satira da salotto dello pseudo Male di Vauro e Vincino mi appare l’ennesimo gesto mondano di una vita normalizzata e professionalizzata, che nulla c’entra con il vecchio Male”.

A sentire Vincino, “colpevole” di disegnare quotidianamente vignette al vetriolo su Il Foglio di Giuliano Ferrara e sul Corriere della Sera, la situazione non è esattamente così: “Personalmente non c'è un operazione di satira o una collaborazione di cui mi vergogni- ammette senza problemi- amo follemente disegnare e fare satira, andare in parlamento e disegnarli davanti, andare in tribunale e disegnare i massacrati dalla giustizia più infame dell'occidente. A me la polemica con Sparagna non interessa- sostiene senza alcun rancore- mi preme la verità storica e mi seccano le bugie: Vincenzo non ha mai diretto nessun numero del Male storico, lui è stato redattore e ha solo fatto quello che mette la firma per qualche numero”. Vincino fa riferimento a un comunicato stampa in cui si affermava che il direttore di quella rivista fosse sempre stato Vincenzo Sparagna. “La leggenda di Vincino direttore- aggiunge il direttore di Frigidaire- è sia vera che falsa. Vera perché Vincino era effettivamente una personalità eminente in redazione, falsa perché cancella il mio ruolo . Non si capisce niente di queste complesse dinamiche se si pensa a una struttura formale: il Male non aveva un direttore che comandava, era un’assemblea di redattori. Vi era un comitato di direzione formato da me e da Vincino ma il suo potere era soprattutto di persuasione”.

Quello che resta tra le righe è uno scazzo tra vecchi compagni di avventure che non riescono più a capirsi come una volta, come trent’anni fa quando assieme diedero vita alla più importante rivista di satira politica della storia della Repubblica italiana. L’amarezza si legge anche nelle parole di Vincino: “Mi dispiace che con gli insulti abbia buttato al vento una storia importante, con questo nuovo progetto- aggiunge- possiamo riuscire o fallire ma io non cambierò la mia natura e non dirò bugie ne insulti gratuiti in risposta ad altri”. Di un’altra opinione è invece Sparagna: “Vincino lo conosco bene. E’ un vecchio siciliano furbo. La sua prima reazione è stata di telefonarmi per congratularsi: una reazione di istinto e di sentimento, ma anche una reazione tattica. Per lui e gli altri, carichi di soldi e contratti, non ha molto senso ed è pericolosa una guerra frontale contro di noi, che siamo la loro cattiva coscienza, ovvero proprio quello che diciamo di essere e che loro non sono più da tempo”.

Le parole di Sparagna trasudano di un romanticismo che diviene quasi una questione morale, uno spirito laico che appoggia e sostiene gli ultimi piuttosto che quelli che combattono il potere in maniera frontale sempre e comunque. Vincino agita la sua matita caustica per disegnare le contraddizioni della politica e della società senza porsi l’imperativo di essere un duro e puro della rivolta, la cosa fondamentale è che il messaggio metta all’angolo la politica e arrivi a più persone possibili.

Andando oltre i litigi e gli insulti del caso, oggi troviamo in edicola due nuove riviste che hanno lo stesso nome ma sono molto diverse tra loro e soprattutto da quello che era il Male trent’anni fa. Saranno il pubblico e il tempo a celebrare il successo o la morte di queste due nuove trovate editoriali. In ogni caso, il Male vive nei ricordi di quelli che si divertivano a leggerlo a fine anni ‘70 come nelle angosce dei politici dell’epoca che finivano nel mirino di quella pistola. Un’arma sempre carica per tutti come quando Giovanni Paolo II diventava padre naturale di un bimbo, la Democrazia Cristiana veniva messa sullo stesso piano dei sequestratori di Aldo Moro e le contraddizioni del movimento studentesco e del terrorismo erano raccontate meglio di qualsiasi approfondimento giornalistico attraverso delle strisce a fumetti. Il Male esiste nella memoria storica di questo Paese perché racconta gli anni di piombo da una prospettiva che viene volutamente omessa dai libri di storia ufficiali: una sfumatura scomoda e per questo sempre coperta che spingeva gran parte degli italiani di quell’epoca a non riconoscersi nella sterile opposizione “o con lo Stato o con le Brigate Rosse”.

sabato 20 agosto 2011

Da Altamont a Pukkelpop


Mentre il numero dei morti a causa del nubifragio che si è abbattuto sul Festival Pukkelpop in Belgio è salito in una notte da uno a cinque, è inevitabile mettere a fuoco il significato di un evento musicale che si trasforma in tragedia e ripensare a quante volte nella storia della musica pop siano capitate situazioni del genere.

E’ difficile stilare una lista completa dei grandi e piccoli eventi musicali che sono stati macchiati dalla morte di qualche giovane (o meno giovane) partecipante a manifestazioni di questo genere. In ogni caso, è possibile scorrere a ritroso l’album dei ricordi neri degli ultimi anni che testimonia come spesso una festa gioiosa possa essere terribilmente rovinata per sempre.

2011

Solo quest’anno il numero delle persone decedute durante manifestazioni musicali sembra essere arrivato ormai alle due cifre. Oltre ai cinque morti dovute al nubifragio che ha distrutto alcune strutture durante il Festival Pukkelpop a Kiewit in Belgio, due persone hanno perso la vita a giugno durante il Bonnaroo Festival a Manchester nel Tennessee. Si trattava di due ragazzi di 24 e 32 anni, in questo caso i motivi della morte sarebbero da ricondurre a malori dovuti al caldo eccessivo e ad abusi di sostanze stupefacenti. Sono dieci le persone decedute da quando il festival statunitense è stato fondato nel 2002 . Spostandoci in Italia, è di ieri la notizia del decesso di un trentenne a causa di un malore- come spesso accade, non si esclude che la morte sia stata causata da un mix di alcol e droghe- avvenuto durante una manifestazione illegale legata alla musica elettronica a Rovegno nel genovese.


2010

E’ l’anno della tragedia consumatasi a luglio durante la Love Parade a Duisburg in Germania. Saranno 21 le vittime (di cui una ragazza italiana) di un enorme ingorgo umano che schiaccerà migliaia di persone in un tunnel che si trovava nel percorso della più importante manifestazione europea di musica elettronica. Gran parte delle responsabilità della tragedia sarebbe da imputare agli organizzatori che, in seguito ai fatti, decideranno di chiudere l’esperienza e di non replicare mai più l’evento. Qualche mese dopo, una grande manifestazione legata alla musica elettronica al centro sociale Leonkavallo di Milano sarà il teatro di un altro tragico evento: la morte di un diciassettenne dovuta a una miscela di alcol e droga. All’inizio dell’estate si rischia il peggio anche a Venezia dove un violento temporale si abbatte sull’Heineken Jammin’ Festival: i concerti vengono annullati e un ragazzo viene colpito da una struttura che aveva ceduto ma non ci saranno vittime.

2009

Un uomo di 39 anni viene stroncato da un attacco di cuore durante il Lollapalooza in una data a Chicago del popolare festival itinerante a quasi vent’anni dalla fondazione. In Italia i rave party diventano ancora una volta luoghi di morte: a una festa nel molisano un ventiseienne israeliano perde la vita a causa di un’overdose di stupefacenti, mentre per lo stesso motivo e nella stessa notte muore in Salento una ragazza lucana poco più che ventenne.

Un ragazzo appena maggiorenne muore per cause naturali- pare soffrisse di problemi cardiaci- e viene ritrovato in tenda durante lo storico festival musicale toscano Arezzo Wave.

2008

Il ventunenne Benjamin Muller viene ucciso da un abuso di varie droghe mentre campeggiava nei pressi del Coachella Festival, uno dei più importanti eventi legati alla musica a livello mondiale che si tiene annualmente negli Stati Uniti. Nello stesso anno una studentessa ventenne muore in Italia, nei pressi di Siena, durante una festa illegale di musica elettronica.

2007

Una piccola tromba d’aria colpisce in maniera devastante l’Heineken Jamming Festival al Parco San Giuliano di Venezia. Decine di persone restano ferite nell’incidente anche se non si contano vittime ma il nubifragio costringe gli organizzatori ad annullare i vari concerti, tra cui quello dei Pearl Jam di Eddie Vedder. Non era la prima volta che la band di Seattle si trovava a vedere annullata la propria data a causa di problemi durante grandi manifestazioni musicali; nel 2000 in Danimarca la situazione si trasformò realmente in tragedia: proprio mentre i Pearl Jam suonavano al festival Roskilde, nove persone morirono schiacciate dalla folla che spingeva per avvicinarsi al palco.

E se non facile stilare un elenco esaustivo delle persone che per vari motivi hanno perso la vita nel corso di grandi eventi musicali, possiamo citare il Festival musicale di Altamont come il primo grande concerto rock che è scivolato nella tragedia più nera. Nel 1969 i Rolling Stones organizzano un grande evento musicale in California, la risposta della costa ovest degli Stati Uniti al celebre festival di Woodstock che si era tenuto qualche mese prima. Tra gli artisti coinvolti spiccano i nomi di Carlos Santana, Jefferson Airplane e Crosby, Still, Nash & Young. I Greatful Dead erano annunciati ma decisero di non prendere parte all’evento a causa delle violenze che accompagnarono i concerti. Durante la giornata del 6 dicembre infatti si scatenarono delle risse tra il pubblico e il servizio d’ordine che era stato affidato a squadre di motociclisti denominate Hells Angels. Per tutta la durata dell’evento ci furono devastazioni e saccheggi ma il turbine della violenza raggiunse il culmine con la morte di quattro persone. Due persero la vita in uno scontro d’auto e una terza morì affogata in un canale. Il festival di Altamont è tristemente famoso per la morte di Meredith Hunter, un diciottenne colpito a morte dal coltello di un addetto alla sicurezza che tentava di fermare il ragazzo mentre, in preda a un delirio causato probabilmente da un abuso di sostanze stupefacenti, estraeva un arma tra il pubblico durante il concerto della band di Mick Jagger. L’omicidio è stato filmato da un cameraman che stava contribuendo alla realizzazione di un documentario sull’evento: Gimme Shelter. La scena del tragico scontro è stata inclusa montaggio finale della pellicola.

lunedì 6 giugno 2011

Batteria scarica

"Ripartire dalla cultura" significa iniziare a costruire sopra brandelli di fondamenta marce.

Meno di una settimana fa il New York Times stroncava sonoramente il padiglione italiano che Vittorio Sgarbi ha curato in occasione della Biennale d'arte di Venezia. La foto qui a fianco è il ritratto di una delle 'opere' in mostra e le parti salienti dell'articolo, firmato da Roberta Smith, parlano di qualcosa che sarebbe potuto essere scandaloso per l'Italia se solo il nostro paese non fosse afflitto da così tanti scandali. Ma lasciamo perdere per un attimo lo "storico punto basso" raggiunto con la biennale di quest'anno. Qualcuno disposto a scommetere sulla cultura esiste, e non serve scappare dall'Italia per trovarlo.

Christian Caliandro è uno storico dell'arte contemporanea e assieme al professore di Economia della Cultura, allo IULM di Milano, Pier Luigi Sacco ha scritto un libro che fa a pezzi l'attuale gestione della cultura italiana contemporanea e fornisce le istruzioni per l'uso che spiegano da dove ripartire. 'Italia Reloaded' parla di come trasformare la fruizione della cultura da qualcosa di passivo, che assomiglia a un'orazione funebre, a un movimento "proattivo" che liberi il pubblico dalla posizione di cliente dell'arte e lo porti ad essere un'attore partecipante.

Il contesto della presentazione di questo libro dimostra come sia possibile portare la cultura a una dimensione umana e partecipata senza per forza impacchettarla in delle teche che, come ricorda Caliandro, assomigliano sempre più spesso a delle “tombe”. L’incontro è il penultimo evento di 'Antequattro', iniziativa organizzata dall’associazione Bassoprofilo, un gruppo formato da studenti della facoltà di Architettura di Ferrara che hanno deciso di riempire il loro tempo libero cercando di costruire cultura. Si è appena concluso il concorso fotografico '24 foto in 24 tempi' e altre iniziative hanno preso forma tra concerti di jazz e musica elettronica in luoghi sparsi della città di Ferrara, spesso splendidi posti colpevolmente chiusi alla cittadinanza per 360 giorni all’anno. Da domani prenderà il via la vera e propria 'Quattrogiornidellearti 2011 - Fastforward', un’altra serie di eventi che spaziano dalla proiezione di cortometraggi a esibizioni di band emergenti (alcune notevoli come il side-project hip hop dei My Awesome Mixtape, i Quakers and Mormons).

Ma riprendiamo il filo del discorso riguardo alla situazione della cultura italiana. Se la fruizione dell’arte oggi è mera documentazione della presenza di se stessi in quel preciso momento- pensiamo alle migliaia di turisti che ogni giorno si scattano ossessivamente fotografie davanti ai monumenti delle città italiane- è necessario guardarsi indietro e cercare di trovare nuove strade per portare la cultura ad essere contemporanea e soprattutto dirompente. Caliandro e Sacco mettono in croce la presunzione per cui l’Italia possiede la maggior parte dell’arte a livello mondiale e guardano con lucida consapevolezza e un sentimento non convenzionale al concetto di patrimonio. L’arte rinascimentale che viene venduta ogni giorno a migliaia di turisti/consumatori- quelli che quando escono dal museo non si ricordano nemmeno cosa hanno appena visto- è stata prodotta in un’epoca in cui veniva considerata disturbante, una piacevole distruzione degli schemi che colpiva la contemporaneità di allora proprio per la sua forza dirompente. Il punto è che oggi non ha senso limitarsi a vendere più o meno a buon mercato l’antichità che l’Italia possiede ignorando sistematicamente vivide forme di cultura che non trovano casa proprio nel paese dove sono nate e cresciute. Il folto elenco di esperienze culturali che in Italia hanno avuto solo l’encomio del fugace momento glorioso, e a volte nemmeno quello- dal New Italian Epic descritto dai Wu Ming alle false prime pagine della rivista satirica il Male fino alle riflessioni cinematografiche sugli “anni di piombo”- dimostra come questi esempi non siano potuti diventare modello di sviluppo. La situazione è bloccata da una classe dirigente che, secondo gli autori, non ha mai preso sul serio la cultura, al contrario, la forza economica di un Paese si misura in gran parte a partire dagli investimenti in quella che Obama chiama “production of culture”. Un alto livello di partecipazione culturale, Sacco ne è convinto, rappresenta la causa il cui effetto è un ricco sviluppo economico di uno Stato. Statistiche alla mano, i posti in cui si partecipa di più e in maniera più attiva alla cultura corrispondono anche agli Stati più ricchi del pianeta. Sarà un caso?

Rimane un’obiezione che non ha nulla di polemico e assomiglia più a una domanda aperta: qual è la prova che la cultura aumenti lo sviluppo economico di un Paese? Siamo sicuri che causa ed effetto non siano invece da invertire e che sia una solida situazione finanziaria a spingere verso il consumo proattivo di cultura. Se è vero che il 95% della popolazione svedese partecipa attivamente a manifestazioni culturali forse è anche perché lo Stato può permettersi di spingere le persone a farlo, come ad esempio le sovvenzioni in denaro concesse a chi decide di mettere su un gruppo musicale.

In ogni caso ‘Italia Reloaded’ è un libro vitale e la decadenza che accompagna il padiglione della Biennale tiene per mano la situazione della cultura mainstream italiana che, oltre a non essere commestibile come più volte sostenuto, rimane anche indigesta al di fuori dei confini nazionali. Ripartire dalla cultura significa ripensare a noi stessi come persone e immaginare attraverso quali storie raccontarci agli altri.